Con «Cosa resta di una favola», Carmen D’Urso si riaffaccia alla scena musicale con un brano ricco di cuore e passato. L’intervista racconta il legame familiare con la musica, il coraggio di esporsi e l’intenzione di toccare l’animo di chi ascolta con sincerità e profondità

Carmen ,vorresti dire cosa ti ha colpita di Samuele Sfingi come produttore?
La sua vivace, competente e brillante intelligenza musicale (essendo anche lui figlio d’arte!).
Come avete costruito il sound del brano?
È venuto quasi spontaneo considerando il timbro vocale e la voglia di fare musica oggi, forse, un po’ dimenticata
In che modo ti ha aiutata a far emergere la tua identità vocale?
Ad onore del vero, una identità vocale ce l’avevo già.
E mi è tornata molto utile, ovviamente, quando ho dato la mano, la prima volta, al brano. Ho lasciato che tutto fosse spontaneo e “sentito”.
C’è stato un momento in studio che ti ha fatto capire che stavate creando qualcosa di speciale?
Sì, decisamente. Ci siamo detti, sorridendo, che questo brano vincerebbe Sanremo!
Quale ruolo ha avuto l’ascolto reciproco nel perfezionare il singolo?
Un ruolo di arrangiamento , sicuramente. In modo da rifinire il tutto.
Pensi di proseguire future collaborazioni con lui?
Sia per la qualità che per la simpatia direi proprio di si.


