Un libro che non urla, ma sussurra con forza. Attraverso «Gente di laguna», l’autrice veneziana ci porta a bordo della sua barca per mostrarci la bellezza nascosta di un ecosistema vulnerabile, tra vento, imprevisti, incontri reali e riflessioni su maternità, libertà e appartenenza. Una testimonianza autentica e necessaria.

Isabella, il topo a vela diventa quasi un personaggio del racconto: cosa significa per te navigare su un’imbarcazione tradizionale e in che modo questo ha influenzato la tua prospettiva narrativa?
Navigare a bordo di Nuovo Fisolo, il mio topo armato con la vela al terzo, essenzialmente per me significa libertà. La conformazione di questa barca a fondo piatto, permette di addentrarsi dove con altre tipologie di imbarcazioni dotate di chiglia, non sarebbe possibile giungere, per via dei bassi fondali lagunari. Procedendo a vela e non possedendo un motore potente, il percorso viene compiuto con maggiore lentezza e bisogna adeguarsi alle condizioni atmosferiche.
Ho sviluppato pertanto un’apertura mentale nel considerare la barca non come un semplice mezzo di trasporto, ma come un mezzo di conoscenza del territorio e dei suoi aspetti meno conosciuti. Il fine non diviene esclusivamente il raggiungimento di una meta: prima di conseguirla possono esserci delle soste o delle diversioni. In altri termini il fulcro della navigazione non è concentrato sull’arrivo, ma sul viaggio e su ciò che lascia. La laguna in quei momenti è là; una immensa distesa d’acqua davanti ai miei occhi…si offre di essere esplorata e dona le immagini che io ho cercato di tradurre in parole.
Nel libro appaiono molti incontri reali: come hai scelto quali persone e quali storie far entrare dentro “Gente di laguna”?
Le ho scelte proprio perché sono persone reali e non artefatte. Alcuni di questi personaggi appaiono estremamente semplici, forse nessuno di questi costituisce un guru da seguire o dispensa perle di saggezza. Ma nella trama del viaggio si sono susseguiti grazie a incontri casuali, che evidenziano la tipologia di gente con la quale si può entrare in contatto compiendo un itinerario del genere e che hanno in comune, pur essendo estremamente differenti come caratteri e vissuti personali, il fatto di vivere quotidianamente a stretto contatto con la laguna, senza deturparla.
La laguna è fragile, e tu lo racconti con una delicatezza intensa. Qual è, secondo te, il pericolo più urgente che corre oggi questo ecosistema?
Quello del moto ondoso. Dall’avvento del motore in poi, molte imbarcazioni tradizionali sono andate irrimediabilmente perse, distrutte dai proprietari stessi che le utilizzavano per lavoro, per modernizzarsi con mezzi più veloci e potenti. Oggi a questi si uniscono moltissimi diportisti e mezzi che devono trasportare un numero sempre maggiore di turisti. Manca però la formazione iniziale sulla conoscenza del territorio che si sta attraversando. Il risultato è un numero impressionante di barche che sfrecciano pericolosamente, generando onde che le fondamenta dei palazzi antichi veneziani, le barene, le rive e le imbarcazioni più piccole, faticano a sostenere e a assorbire. Ma molti conducenti purtroppo, appunto non ne sono neppure consapevoli e credono che navigare in laguna abbia lo stesso impatto di quando ci si trovi in mare aperto.
Durante il viaggio, oltre alle sfide pratiche, emergono sfide interiori: qual è stata la tua più grande trasformazione in quei ventidue giorni?
Ho appreso l’importanza che possono avere l’ostacolo e l’imprevisto e di non viverli con accezione negativa. A me si sono rivelati utili per mettere in atto risorse personali che altrimenti sarebbero rimaste sopite, per imparare a accettare ciò che non posso modificare, o per scoprire altro di cui non avevo conoscenza. Ho capito quanto amo la bellezza naturale che abbiamo tutti a portata di mano… quel tanto da sentire il bisogno di doverne parlare attraverso un libro.


