di Angela Lombardi (*)
[…] “E ci stanno ancora.” “E questa è la fine”, disse, e negli occhi di lui, appena l’interesse della storia si spense, vide qualcos’altro prenderne il posto, uno stupore, una specie di riflesso luminoso, ma pallido, che lo rendeva insieme attento e rapito. Si voltò e guardò al di là della baia, da dove, ma certo, eccolo, attraverso le onde, a tratti regolari prima due tempi veloci, poi uno lento, veniva la luce del Faro. L’avevano acceso. Tra un attimo le avrebbe chiesto: “Andiamo al Faro, domani?” E lei gli avrebbe dovuto dire: “No, non domani. Tuo padre dice di no”. Fortunatamente Mildred lo portava via, continuò a guardare all’indietro, ed era sicura che stava pensando, non andremo al Faro domani, e lei rifletté, se lo ricorderà per tutta la vita.
È così che la Woolf ci preannuncia quello che sarà l’apice, la risoluzione e il finale de “Al Faro” nella prima parte del libro, La Finestra. Il libro è infatti strutturato in tre parti, la prima delle quali sembra svolgersi in giorni o addirittura mesi, ma in realtà sfiora soltanto le ventiquattro ore. Vengono descritti una serie di personaggi con le loro relazioni e le loro abitudini. Vi è la signora Ramsay, luce, guida, portatrice di speranza e di fiducia. Cinquant’anni, otto figli, tanti problemi celati, eppure, ancora così bella, così ammirata. Il signor Ramsay, ormai un vecchio burbero, troppo razionale, troppo pessimista, troppo cinico per i suoi figli. Lo odiavano. James lo odiava. A soli sei anni, era riuscito a fargli desiderare la sua morte. Perché James, lo voleva morto. Era riuscito a spezzargli il suo unico sogno, la sua unica ingenua speranza: la gita al faro.
Lily Briscoe questo lo sapeva bene, disprezzava il signor Ramsay e il suo modo di fare, ma era affascinata da sua moglie, questa donna che riusciva in tutto con solo uno sguardo. I suoi occhi esprimevano conforto, dolcezza, tenerezza, erano un porto sicuro per tanti nella loro affollata casa sull’isola di Skye. Charles Tansley l’adorava. Lui, che continua a ripetere come la vita sia dura, come le donne non riescano in nulla, come sia colto e stimabile il signor Ramsay. Non poteva mostrare a tutti quanto elogiasse la signora Ramsay e perciò si limitava ad ammirare lui. Erano l’uno la copia dell’altro, solo di diversa età. William Bankes amico ormai da tanto, da troppo di Ramsay, non riusciva a sopportarlo. Solo la presenza di quell’amabile donna che era sua moglie poteva lasciarglielo sopportare, in ricordo di quegli anni ormai andati. E c’erano Prue, Andrew, Rose, Cam, Paul, Minta… Tutte vittime di quello strano destino, tutti predestinati ai cambiamenti che la mancata gita al faro porterà. Così “Il tempo passa”, seconda parte del romanzo, la natura è stata cruenta, incessante, selvaggia con tutti. La casa ormai è abbandonata, qualcuno è morto e qualcun altro va avanti nel suo cammino, sono passati dieci lunghi anni, e i loro cuori piangono la perdita della loro dolce guida. Senza di lei ormai il faro sembra lontano. Un desiderio non è più lo stesso se lo si trascura per troppo, troppo tempo. Eppure nella terza parte della storia, la tanto bramosa gita si farà. Nulla sembrerà come prima, eppure, i protagonisti scopriranno, che la natura, il tempo, la morte, il dolore, niente, potrà allontanarli dal loro ricordo, la dolce luce della signora Ramsay è ancora viva nei loro cuori, e proprio come il faro, continua a vigilare su di loro, e continua a confortarli là dove la dura vita non può. Qualsiasi dramma ha bisogno di un lieto fine per essere superato. Un lieto fine che può essere anche semplice stabilità o il portare a termine un lavoro che si era iniziato o l’andare avanti in una relazione ormai da tempo sospesa. Al faro è questo. Ricongiungimento. Ricordo. Scorrere del tempo. Luce dopo il buio, quiete dopo la tempesta. I Ramsay hanno perso il loro punto fermo. E nel faro, lo ritroveranno. Ancora una volta Virginia Woolf riesce a farci osservare il mondo in maniera incantata. Riesce a farci apprezzare le piccole cose. Ma soprattutto a farci amare quelle piccole grandi persone che a volte la mente o il nostro cuore non vogliono, o non riescono, a ricordare.
(*) Studentessa di Lettere Moderne all’Università “Aldo Moro” di Bari