Il 14 novembre 1851 veniva pubblicato negli Stati Uniti uno dei capolavori dell’American Renaissance, l’opera “Moby Dick” di Herman Melville.
Pubblicato in due differenti versioni, The Whale (“La balena”) e Moby-Dick, or The Whale (“Moby Dick, ossia la balena”), è un libro che si presta a varie e approfondite riflessioni circa la natura dell’uomo, il suo ruolo nel mondo e il suo futuro.
Lo scrittore, nella scrittura e nella ricerca di uno spiraglio di riflessione per le sue produzioni letterarie, si lascia ispirare da tutto ciò che lo circonda, traendo ispirazione, talvolta, anche dalle sue stesse vicende familiari: tutto vale la pena di essere vissuto perché ogni cosa è linfa da cui può sorgere qualcosa di bello.
Nella sua penna, unisce, infatti, cronaca, storia, narrativa, poesia, filosofia e scienza e lo stesso Moby Dick si basa su un dialogo tra storia e filosofia: la caccia alla balena si intreccia con la sfida metafisica dell’uomo e della natura.
Il successo di tale opera è stato tale da garantire numerose rivisitazioni, basti pensare a Cesare Pavese che, nel 1930, si cimentò a tradurre l’opera in italiano. Tutt’oggi, l’attualità dei sentimenti che queste pagine maturano nel lettore consente di sperimentare la contraddittorietà dell’immenso mondo emotivo dell’uomo: da un lato l’ignoto, l’abbandono, le difficoltà; dall’altro lato si respira un senso di speranza, di riscatto, di libertà.
Tale oscillazione è propria della condizione umana, la cui descrizione si unisce alle ricostruzioni storiche che lo scrittore, a partire dalla rappresentazione tra Bene e Male, porta avanti nella sua attività creativa.
L’immagine della natura che emerge tra le pagine del romanzo rammenta una sensazione di sublime contraddizione che si può respirare nel quadro ottocentesco “Il Viandante sul mare di Nebbia” di Caspar David Friedrich, esplicativo del senso di complessità della condizione umana insita in “Moby Dick”.